Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei

* «Nel 1948 si giunse, dopo dieci anni, alla cosiddetta “Sentenza Paramount”, più volte citata nei capitoli precedenti. Nel luglio del 1938 il Dipartimento di Giustizia aveva fatto causa agli Studios per ripetute violazioni della legge antitrust. La vicenda giudiziaria si protrasse per lungo tempo, tra tentativi di compromesso dell’industria con il Governo e la convinzione, da parte dei produttori, di riuscire a superare anche questa situazione. Nel 1944 la causa conobbe una recrudescenza: il Dipartimento della Giustizia intendeva separare la produzione e la distribuzione dall’esercizio, che le Majors controllavano attraverso le sale di loro proprietà. Le sentenze si susseguirono, così come i ricorsi e gli appelli, fino a che la causa “U.S. v. Paramount Pictures, Inc., et al.” (dove per “al.” dovevano essere intese le altre majors) venne presa in esame dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che per mezzo del giudice William O. Douglas legittimò la separazione del controllo delle sale di prima visione dalla produzione, avallando l’ufficializzazione della Corte distrettuale che intimò agli Studios di vendere la proprie sale cinematografiche. Paramount e RKO obbedirono subito, 20th Century Fox e Warner lo fecero all’inizio degli anni Cinquanta, la MGM cercò in tutti i modi di resistere e capitolò solo alla fine degli anni Cinquanta, quando la consociata Loew’s prese il controllo della catena di sale, lasciando alla MGM l’impegno della produzione.

La “Sentenza Paramount” fu un duro colpo per l’industria hollywoodiana, ma non decisivo. Sicuramente non migliorò le prospettive degli esercizi indipendenti, i quali furono costretti ad aumentare il prezzo del singolo biglietto per ottenere i film di prima visione dalle Majors, il cui controllo della distribuzione si dimostrava ancora fondamentale. L’aumento dei prezzi, la delocalizzazione di vasti strati di pubblico potenziale residente lontano rispetto alle sale e il crescente favore incontrato dalla televisione furono tra le cause della chiusura di circa quattromila esercizi nel decennio tra il 1946 e il 1956, mentre gli esercenti che non alzarono bandiera bianca ammisero che una parte fondamentale del loro bilancio era dovuta alla vendita di cibo e bevande che accompagnava la visione del film.» (Storia e storie del cinema americano, Utet, Torino 2013, pag. 249-250)

** La slapstick comedy è un genere comico proprio del cinema muto che punta sulle rovinose conseguenze della fisicità del movimento. Le azioni sono iperboliche e giungono al limite del surreale. Corredo della slapstick sono le cadute rovinose, gli inseguimenti vorticosi, gli scontri violenti senza conseguenze, le bastonate e le torte in faccia e anche, ultimo aggiornamento, calciatori dalle abnormi fattezze che con espressioni smarrite si rendono conto di aver sbagliato gol impossibili da sbagliare in un momento decisivo della loro vita e della loro carriera. Spiaze.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema pur essendo cosciente dell'inutilità.

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