Parlando di attualità, in vista di un inquietante futuro

Non so se la cosa vi appassioni, però è da qualche tempo che ci penso con una certa insistenza. Incuriosito e pronto a sperimentare. Immagino abbiate sentito parlare di OpenAI o di ChatGPT, ossia l’intelligenza artificiale in grado di scrivere qualsiasi cosa nel tempo di pochi secondi, parlando di tutto (almeno fino al 2021) e imitando lo stile di chiunque. Praticamente la (prossima) fine di ogni scrittura creativa e anche di quella che creativa non è. Ma anche, e mi scuso per il tono apocalittico, di qualunque tentativo di scrivere saggi argomentativi nell’ambito scolastico, non appena gli studenti si renderanno conto di come usarlo senza farsi sgamare dagli insegnanti. Anche perché fornendo parametri vari e adeguati, è praticamente impossibile accorgersene. Certo, a meno che un allievo dalla sufficienza sempre stringata ad un certo punto si metta a scrivere come Virginia Woolf. Però in ambito universitario, nel quale si suppone che il livello sia più elevato, capirlo potrebbe essere più complicato. In breve, ci avviamo verso un’imminente inutilità della scrittura e degli scrittori, perché farà tutto Hal 9000 o il software di Her e, se protestate, la punizione sarà la morte o, peggio, l’evirazione. Qualche tentativo di resistenza, all’interno dei campus universitari americani, è stato adottato ed è, guardando bene, l’uovo di Colombo. Non potendo combatterla, la si accoglie e la si rigira a proprio uso e consumo: dato un saggio elaborato dall’intelligenza artificiale, trovare in esso errori, inesattezze e punti ciechi. Non è come scriverlo ma è un’eventualità per testare ugualmente le competenze di chi lo utilizza, saggiando la disponibilità al problem solving e alla verifica dei dati più che lo stile o l’organizzazione e la ricerca dei contenuti, spostando quindi in altra categoria le abilità degli studenti.

Noi, qua, visto che ci piace cazzeggiare, abbiamo fatto l’ennesimo esperimento, perché ultimamente ci piace farlo, così magari anche voi vi divertite di più, o forse perché, ma probabilmente è solo un momento, sono io che mi sto divertendo di meno a scrivere cose che voi ormai date per scontate. Ma vabbe’, non voglio tediarvi. Dunque, l’esperimento di oggi è far scrivere all’intelligenza artificiale un breve saggio di 3000 parole in italiano sul regista Jaco Van Dormael, quello di Toto le héros e L’ottavo giorno (e anche, soprattutto, direi io, di Mr. Nobody, se solo qualcuno si fosse preoccupato di distribuirlo in Italia quando uscì, nel 2009). Perché Van Dormael, uno dei registi meno prolifici della storia? Perché Van Dormael sarà ospite del Bergamo Film Meeting dal 15 al 18 marzo e in quell’occasione saranno ripresentati tutti i quattro lungometraggi realizzati in oltre trent’anni di carriera. E anche perché Van Dormael, se solo fosse meno parco nel realizzare film, sarebbe uno degli autori europei più influenti. Quindi uniamo l’utile al dilettevole: presentiamo la cosa, e utilizziamo l’intelligenza artificiale per incrociare l’argomento. Anche perché ho già scritto su di lui per il festival in questione e non ho più voglia di ripetermi.

Questo è ciò che ha scritto Openai, senza censure e correzioni:

Jaco Van Dormael è un regista belga che si è affermato come uno dei più talentuosi e innovativi direttori del nostro tempo. Nato nel 1957 a Ixelles, in Belgio, Van Dormael ha studiato filosofia all’Université Catholique de Louvain prima di dedicarsi alla regia cinematografica. I suoi film sono noti per il loro stile visivo immaginifico, l’umorismo bizzarro e i temi filosofici.

Il primo lungometraggio di Van Dormael, Toto il eroe (1991), è stato un successo critico e commerciale, vincendo la Caméra d’Or al Festival di Cannes e il Premio César per il miglior film straniero. Il film racconta la storia di un vecchio uomo di nome Thomas che crede di essere stato scambiato alla nascita con un altro bambino e ha trascorso la sua vita cercando di vendicarsi di colui che ritiene essere il suo “vero” padre. Toto il eroe è un film intenso e commovente che esplora temi come l’identità, la memoria e la giustizia.

Il successo di Toto il eroe ha dato a Van Dormael la possibilità di realizzare altri film altrettanto innovativi e originali. Il suo secondo lungometraggio, Le otto vite di un gatto (1997), è una commedia surreale che racconta la storia di un gatto che ha otto vite e che si ritrova coinvolto in una serie di avventure stravaganti. Il film è stato accolto positivamente dalla critica ed è diventato un cult movie.

Nel 2009, Van Dormael ha diretto il suo terzo lungometraggio, Mr. Nobody, un’epica fantascientifica che esplora i temi della scelta e del destino. Il film segue la vita di Nemo Nobody, l’ultimo uomo sulla Terra che ha il potere di vivere simultaneamente molteplici esistenze alternative e che deve decidere quale vita vivere. Mr. Nobody è un film ambizioso e complesso che ha richiesto una grande quantità di lavoro per la sua realizzazione, ma che ha ottenuto un grande successo di critica e di pubblico.

Uno dei tratti distintivi del cinema di Van Dormael è la sua capacità di creare mondi fantastici che si muovono tra la realtà e l’immaginazione. In molti dei suoi film, Van Dormael utilizza effetti speciali, montaggio e fotografia per creare un mondo visivo unico e suggestivo. Ad esempio, in Le otto vite di un gatto, Van Dormael utilizza una fotografia intensamente colorata e una composizione visiva eccentrica per creare un mondo surreale che si muove tra la realtà e il sogno.

Un altro elemento distintivo del cinema di Van Dormael è l’attenzione ai dettagli. In tutti i suoi film, Van Dormael mostra una grande cura per ogni aspetto della produzione, dalla sceneggiatura alla scenografia, dalla fotografia alla colonna sonora. Questa attenzione ai dettagli è evidente anche nella scelta degli attori, molti dei quali hanno lavorato con Van Dormael in più film. Ad esempio, l’attore Pascal Duquenne ecc. ecc. ecc.

Dunque. Due parole al volo. Sembra la pagina di Wikipedia. Lo stile è piatto, senz’anima e dice cose ovvie: se al nome di Van Dormael sostituite quello di un qualunque regista dai tratti surreali, ma anche senza scomodare Buñuel, la descrizione si attaglia allo stesso modo: chi è l’autore che non presta “attenzione ai dettagli” e che non ha “una grande cura per ogni aspetto della produzione”? Un regista di merda. Quindi. Voglio sperare di aver scritto per il catalogo del festival un saggetto molto più dinamico e originale. Per ora non si sono lamentati, anche se non mi hanno ancora pagato, però m’illudo che sia così.

Poi, in poche righe, ci sono almeno tre errori marchiani. Uno: Van Dormael non ha mai studiato all’Université Catholique de Louvain. L’intelligenza artificiale reperisce in un attimo milioni di dati sulla Rete e deve essersi confusa con la frequenza, nella stessa università, di studenti e docenti con un cognome simile.

Due: in Toto le héros (al massimo Toto l’eroe e non certo Toto il eroe) Thomas vuole vendicarsi del coetaneo che immagina gli abbia rubato la vita, non del suo “vero” padre.

Tre: il secondo film di Van Dormael è L’ottavo giorno, non Le otto vite di un gatto, la cui trama susseguente è parimenti assurda. Ma qua alzo le mani: la mia intelligenza (ammesso che si possa chiamare tale) non è artificiale, per cui non posso cercare di capire dove cazzo OpenAI abbia tirato fuori quel titolo.

Quindi, al momento, 18 febbraio 2023, alle ore 11:58, qualche buchino l’intelligenza artificiale lo ha ancora. Certo se si è abituati a scrivere abbreviato su WhatsApp o ad applicare slogan su TikTok, è ancora lo stile di un inarrivabile intellettuale non riconciliato nel sistema, ma se si ha memoria di cosa fosse un’accurata analisi almeno fino a una decina di anni fa, allora il risultato è simpatico, ma deludente.

Differente è invece il discorso se si incrociano i parametri. Altro tentativo: scrivere un saggio di 3000 parole in italiano su Jaco Van Dormael imitando lo stile di Jorge Luis Borges (non casualmente, perché a Van Dormael non è certo indifferente la teoria dei tempi divergenti dello scrittore argentino: avete mai letto Il giardino dei sentieri che si biforcano? Stupendo. Vi si apre un mondo. Anzi, anche due o tre contemporaneamente).

Ecco il risultato. Tagliato, perché l’intelligenza artificiale sarebbe andata avanti ancora e ancora, tanto mica scrive con la sua manina:

In un angolo della grande biblioteca universale, un volume rilegato in pelle attira l’attenzione del lettore. Si tratta di un saggio su uno dei registi più innovativi e originali del nostro tempo: Jaco Van Dormael. Il libro, scritto da un autore argentino che ha amato la letteratura e il cinema con uguale passione, cerca di esplorare la vita e l’opera di questo regista belga attraverso una serie di racconti e di riflessioni.

L’autore inizia il suo saggio descrivendo l’infanzia di Van Dormael, cresciuto in un ambiente familiare particolarmente stimolante. Il padre di Jaco era un celebre matematico e la madre una poetessa di talento, due personalità che hanno sicuramente influenzato lo sviluppo creativo del giovane regista. L’autore immagina una scena in cui il piccolo Jaco, seduto in un angolo della stanza, osserva il padre mentre risolve complicate equazioni matematiche, mentre la madre declama i suoi versi in una lingua straniera. In quella stanza, l’autore suggerisce, nasceva il germe della creatività di Van Dormael, una creatività che avrebbe portato alla realizzazione di film memorabili e innovativi.

Il primo lungometraggio di Van Dormael, Toto il eroe, è al centro della seconda sezione del saggio. L’autore descrive il film come un viaggio nella memoria e nell’identità, una commovente riflessione sulla natura dell’essere umano. Il protagonista del film, Thomas, è un uomo anziano che crede di essere stato scambiato alla nascita con un altro bambino e che ha trascorso la sua vita cercando di vendicarsi del suo “vero” padre. L’autore analizza la struttura narrativa del film, che si muove tra passato e presente, realtà e fantasia, e sottolinea l’importanza dei temi trattati, come l’identità, la memoria e la giustizia. In particolare, l’autore fa notare come il film sia una riflessione sull’eterna lotta tra il bene e il male, tra la vendetta e il perdono.

La terza sezione del saggio è dedicata a Le otto vite di un gatto, un film che l’autore descrive come un’opera surreale e poetica, un omaggio alla fantasia e all’immaginazione. Il protagonista del film è un gatto che ha otto vite e che si ritrova coinvolto in una serie di avventure stravaganti. L’autore analizza l’uso che Van Dormael fa degli effetti speciali, della fotografia e della colonna sonora, che creano un mondo visivo unico e suggestivo. L’autore suggerisce che il film sia un invito a sperimentare nuove forme di percezione e di immaginazione, a lasciarsi trasportare dalla fantasia e dall’irrealtà.

La quarta sezione del saggio è dedicata al film Mr. Nobody, un’epica fantascientifica che esplora i temi della scelta e del destino ecc. ecc. ecc.

Qua non c’è partita, bisogna essere onesti. Perché in questo caso non si ricerca più il dato, la coerenza analitica, l’originalità della visione critica sull’autore. Lo stile qua è desunto e riconoscibile, difficilmente imitabile, perché arricchito da una conoscenza immensa e imperscrutabile, cosa impossibile per un uomo, neanche se si dedicasse a studi “matti e disperatissimi” come Leopardi per due o tre vite di seguito. Qua non si tratta più di critica o di saggistica, qua è già letteratura. Letteratura virtuale e fittizia. Immateriale e ideale. Van Dormael non è più l’oggetto d’indagine, ma diventa un mero pretesto narrativo. E non importa l’esattezza di quanto scritto, perché è il prodigio delle potenzialità del software a fare la differenza e a destare meraviglia: chi se ne frega, a quel punto, che il film non s’intitoli Le otto vite di un gatto? Se tutto è falso, a partire dal simil-Borges con il quale lo scritto è filtrato, anche il titolo sbagliato si può assumere come parte totalmente coerente di un’operazione incoerente già per definizione. Nella falsità proposta e accettata come tale, anzi, deliberatamente stimolata a proprio uso, tutto va traslato in un contesto ulteriore, in cui il concetto di vero e falso si perde a favore dell’utile e dell’immediato. O del curioso. Come ci dice anche Pascal Chabot nel suo ultimo, interessantissimo saggio Avere tempo. Saggio di cronosofia, siamo pressati dall’Ipertempo e non abbiamo tempo per un cazzo di niente, perché non riusciamo a gestirlo. Già non siamo Borges, come non siamo Proust (anche se io sono nato nel suo stesso giorno di 99 anni dopo), Hemingway o Philip Roth (le pippe non contano) e in più ci lamentiamo che non abbiamo tempo. Cosa sarà mai un titolo che non c’entra una minchia con la capacità di avere tutto e subito una cosa che avremmo scritto in un paio di giorni (al netto delle ricerche da effettuare) con lo stile di chiunque non saremo mai in quel breve istante di noia in cui ci sarebbe il tempo solo per un ruttino?

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema pur essendo cosciente dell'inutilità.

5 Risposte a “Parlando di attualità, in vista di un inquietante futuro”

  1. Sai a cosa pensavo quando ho letto il primo output dell’intelligenza artificale, al di là di quegli errori che, sono certo, nel giro di qualche anno verranno ridotti di probabilità a un lumicino? Che è un ottimo esempio per chi scrive di cinema anche solo per diletto e senza troppe competenze (tipo me) per capire cos’è una scheda (da evitare) pulita come ritmo ma che non lascia nulla tranne informazioni e poco altro. E lo dico sia dal punto di vista contenutistico che di stile. Sembra un tentativo di recensione da adolescente disciplinato con la riga che cerca di fare il compito in classe per prendere il solito 7 amministrativo senza rischiare mettendoci del suo fuori dai canoni (azz, forse ero io, ma solo per paura… e comunque prendevo meno di 7). Mi è piaciuta un sacco, me la salvo!
    E comunque nessuna OpenAI potrebbe infarcire una recensione con la pisciata dello zio Rocco. E la chiudiamo qua.

    a.

    1. Era zio Tonino, non credo che un qualunque zio Rocco (conoscendone due, pur non essendo miei parenti) avesse le stesse velleità.
      Il 7 amministrativo non lo conoscevo, solo il 6 politico e il 5 conservativo (detto anche patteggiato) di questi ultimi anni, ossia il voto che ti permette di mantenere la sufficienza di media quando il numero di verifiche contemporanee si fa cospicuo e complicato da affrontare. Aggiungo che il 5 conservativo, o patteggiato che dir si voglia, non lo permetto per una questione di dignità delle materie che insegno.
      Odio sempre che la Letteratura o la Storia siano messe in subordine dietro informatica o statistica.
      C’è indubbiamente del vero in ciò che dici, ma se l’adolescente disciplinato e con la riga scrivesse come Borges o come Hemingway, anche se di maniera, credo che si trasformerebbe direttamente in uno dei miei riferimenti culturali.
      E comunque, visto dove stiamo andando, forse i profeti del 5 conservativo di cui prima hanno ragione a privilegiare informatica e statistica, dato che ormai servono quelle materie utili anche per scrivere e non certo la letteratura o la storia. Che alla fine sono storielle ben raccontate che evidentemente non portano a nulla.

  2. (portano a divertirsi un po’ di più. ma ovviamente è solo questione di gusti. c’è chi si sciala su derivate e oltre).

    la mia insegnante di lettere li chiamava “temi compilativi”. informazioni stile Wikipedia (come hai detto) e nessun pensiero. assegnava solitamente 6 se erano almeno corretti. altrimenti era un 5 assicurato.

    e comunque il gatto non ha mai avuto 8 vite. o 7 o 9 (o forse quelle erano le code) a meno di non pensare a una cosa tipo la 25° ora.

    detto ciò una masterclass su jaco van dormael mi vedrebbe in prima fila.

    e comunque parlando di recensioni che si leggono in giro ho il sentore che qualcuno già peschi a piene mani/piedi nel bacino dei suggerimenti dell’AI.

    intanto baci.

    1. Bah, una volta non c’era un’intelligenza artificiale siffatta ma le recensioni a cui ti riferisci erano già piuttsoto simili: in quel caso, però, c’era un’omologazione del pezzo dovuta all’indiretta dettatura degli uffici stampa e dei loro pressbook, su cui c’era tutto per poter scrivere un articolo senza dover anche interpretare il film (e contrariare magari l’ufficio stampa che ti invitava alle anteprime).
      Cambia il motivo, poco il risultato.
      Però non vorrei che dal post scaturisse una mia presa di distanza snob: io al fenomeno della scrittura con l’intelligenza artificiale guardo con viva curiosità e voglia di comprendere, non con alterigia.
      Vediamo che succede. Ho solo posto un paio di confini e di relativi interrogativi.
      Ciao, bacioni grandi!

  3. non hai dato questa impressione. anche io sono curiosa.
    da quello che ho visto/letto, forse l’approccio figurativo è più convincente in termini di risultati. anche se risultano ancora più evidenti i riferimenti (pittorici/architettonici/etc) da cui certe realizzazioni “pescano”.

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