Sporca autopromozione

[disclaimer: si tratta di spudorata autopromozione. È uno spot pubblicitario, in pratica: se non lo tollerate, cambiate tranquillamente canale, ci si vede al prossimo post, che però è pur sempre l’anagramma di spot]

L’11 febbraio, giovedì scorso, è uscito il mio ultimo libro, 24 fotogrammi per una storia del cinema essenziale ma esaustiva, è edito da Dino Audino, che lo ha fortemente voluto.

Non ho però da raccontare una storia fantasmagorica di destini, sfighe e insperate epifanie come fu per il libro su Cimino.

Qua è stato tutto vergognosamente semplice. Dino Audino, per mezzo del suo valente ufficio stampa, Francesca Onesti, mi contatta verso la fine del maggio scorso per propormi un volume indirizzato agli studenti del liceo, in particolare a quelli dell’artistico che hanno un sacco di laboratori sull’immagine audiovisiva. Mi chiedono d’inventarmi qualcosa. Mi studio i famigerati programmi ministeriali e noto che la pratica laboratoriale è quasi totalizzante, non sono previste ore di storia del cinema, a meno che qualche illuminato insegnante di laboratorio non decida in proprio di approfondire. Perché non agevolarlo? Anche perché, mi chiedo, può uno studente misurarsi con il linguaggio audiovisivo senza sapere come e perché quello stesso linguaggio si è originato? Qualche libro sulla tecnica e sul linguaggio cinematografico a uso di studenti che non siano universitari c’è, il migliore dei quali è probabilmente questo. Di volumi rivolti allo stesso target sulla storia del cinema no. Le storie del cinema, ovviamente, per via del mercato, si scrivono solo per l’università. Perfetto, è questo l’unico interstizio possibile in cui inserirsi, per di più tenendosi in un ristretto numero di pagine e, di conseguenza, in un prezzo contenuto per non oltrepassare la soglia dei tetti di spesa prevista nelle scuole, già sempre al limite, quando non facilmente superata (per esempio, anche per questo motivo non adotto più le antologie, quando la mattina faccio l’insegnante). Ma come scrivere una storia del cinema che non sia la solita storia del cinema, fatta di nomi, di date e di correnti trattate in ordine cronologico? È davvero possibile evitare che una storia lunga 125 anni si trasformi, in circa 120 pagine a disposizione, in un bignami, per elegante che sia? Ed è possibile, nello stesso numero di pagine a disposizione, cercare di essere un po’ più approfonditi della pluritradotta Storia del cinema di Joseph-Marie Lo Duca, che proprio non era l’ultimo dei coglioni, visto che insieme a Bazin aveva fondato i «Cahiers du cinéma» e in Italia aveva avuto trascorsi futuristi (e allora, pensandoci bene, forse forse…vabbe’), ma che per limiti di ampiezza si era limitato a scagazzare qua e là sugli aspetti fondamentali, rendendo impossibile la distinzione tra trattato storico ed elenco telefonico?

(questo il passo dedicato a Welles e a Quarto potere a pagina 80, per essere fin troppo espliciti:

Per la sua violenza e per la sua genialità si fa notare, nel film americano, un nuovo venuto, Orson Welles, autore di Quarto potere, L’orgoglio degli Amberson e di Lo straniero. Il primo, descrizione vana e crudele della vita di Hearst, scosse le abitudini del cinema. La sua violenza trovò eco in Europa.)

Detto fra noi e che non si sappia troppo in giro, scrivere un libro sulla storia del cinema in un universo mediatico che ormai da anni non è più logocentrico non ha davvero molto senso. Teniamo anche conto che su dieci libri di cinema che escono attualmente, gli essenziali non arrivano neanche a uno perché le cose fondamentali da scrivere sono già state scritte (Il trascendente nel cinema di Paul Schrader, Da Caligari a Hitler di Siegfried Kracauer, Semiologia del cinema di Christian Metz, Dentro lo sguardo di Casetti, L’oeil-caméra di François Jost che rileggeva nel cinema le categorie di Genette in Figure III e poco altro ancora). Tanto per ripetere un concetto che ho già sostenuto in una recente intervista su «Ondacinema» con Vincenzo Chieppa, se si volesse fare un lavoro davvero al passo con i tempi, si dovrebbe realizzare un prodotto multimediale fatto solo di link a filmati, sequenze, scene, videosaggi di approfondimento su aspetti storici, contenutistici e di evoluzione stilistica, tenendo conto delle caratteristiche della società in cui i film analizzati sono stati prodotti e grazie alla quale sono entrati nell’immaginario. Senza parole, solo riferimenti e indicazioni in modo da creare un database tendente all’infinito, in cui ci si orienti in funzione del percorso che s’intende sviluppare. Ovviamente le case editrici, perlomeno al momento, fanno altro, per cui ho predicato bene e razzolato come sempre, scrivendo le solite parole su dei file che poi sono diventati pagine ecc. ecc., conservando per un mondo iperuranico il tentativo di produrre qualcosa che fosse diverso da un libro e cercando di darne una parvenza solo rimandando, sul sito della Dino Audino, a una moltitudine di link rispetto a tutti gli argomenti trattati (guarda qua, nei materiali).

Quindi, evitando di impelagarmi in nomi, date e correnti sistemate in ordine cronologico, ho cercato di inventarmi un formula che vi spiego prelevandola direttamente dall’introduzione del libro. All’editore pare sia piaciuta così tanto che ha progettato di inaugurare una collana su varie discipline (teatro, danza, arte ecc.) analizzate allo stesso modo. Quindi, di fatto, 24 fotogrammi è il numero uno (della collana, non del Gruppo TNT e non è neanche il Tè Lipton, come ricordava Dan Peterson).

Questo libro presenta un viaggio nella storia del cinema in 24 immagini. 24, come il numero di fotogrammi di cui si compone ogni secondo di pellicola proiettata sullo schermo. 24 immagini proposte come simbolo di altrettanti momenti fondamentali, tratti da un immaginario cinematografico lungo oltre centoventicinque anni. Un arco di tempo in cui le immagini si sono succedute, congiunte e accavallate, si sono confrontate con le altre che le hanno precedute, sono entrate in contrasto e sono progredite, in mezzo a una complessità di fattori – tecnologici, sociali e creativi – pronti a influenzarsi tra loro per attuare un’evoluzione dello stile e del linguaggio dei film. Ognuna delle immagini presenti in questo volume è estratta dallo sconfinato immaginario audiovisivo e si pone come emblema di un periodo, di un concetto o di una novità stilistica che in qualche modo ha condotto la storia del cinema verso indirizzi ben definiti. Tutte insieme, queste 24 immagini creano un ordine, delle classificazioni, delle gerarchie, dei modelli utili a tracciare uno sviluppo e a comprendere dove sia approdata oggi la nostra cultura visiva.

(…) le 24 immagini proposte non sono prese a caso da un vasto insieme, ma sono proprio quelle giuste, nel senso di opportune, scelte appositamente per la loro importanza estetica e narrativa rispetto a tutte le altre che compongono questa storia fatta principalmente di immagini. Solo dopo, come conseguenza, queste stesse immagini conducono a nomi, elenchi, periodi, movimenti e tendenze. I singoli fotogrammi, tuttavia, non sono ovviamente il film, lo richiamano solo come aggancio: una parte che rimanda alla complessità espressiva del tutto. L’immagine – ma quando si parla di cinema sarebbe meglio dire la singola inquadratura – è però pur sempre l’unità di partenza, il pilastro su cui si costruiscono l’intero prodotto e la raffigurazione che successivamente si depositerà nella memoria. Essa è uno spazio complesso, in cui entrano in relazione la superficie ripresa, l’illusione di profondità, e il suo inserimento in uno sviluppo temporale (il resto della storia) che ne definisce la direzione e l’intensità. Anticipate da una sceneggiatura e modellate da una regia, inoltre, intorno alle inquadrature si costruiscono dapprima le scene, poi le sequenze. In una progressione crescente, queste ultime si animano grazie allo spessore dei personaggi inseriti in determinati ambienti, si succedono per porre le basi dei necessari archi narrativi, si modellano per realizzare l’immancabile tensione del racconto e, nei casi migliori, giungono a confezionare un memorabile prodotto finale che, a sua volta, diventerà parte della concezione cinematografica di ogni spettatore. Per questi motivi, ognuna delle 24 immagini proposte è analizzata attraverso quattro parametri progressivi. Prima di tutto come quadro autonomo, per delinearne la natura e indicarne la relazione con l’intero film da cui è tratta; subito dopo, in modo strettamente collegato, l’immagine è vista attraverso il criterio con cui diventa narrazione, contribuendo al progetto globale del film. Successivamente il discorso assume una prospettiva culturale rispetto all’autore, all’epoca o al movimento in cui l’immagine è stata prodotta. Infine, l’ultimo passo dell’analisi è relativo all’impatto del film sull’estetica che ne è seguita, in un’ottica che si rivolge direttamente alla storia.

(…) Ciò che si propone questo volume è di accompagnare il lettore in questo viaggio iniziato più di un secolo fa ma sempre sorprendentemente attuale.

Così è se vi pare.

Qua il booktrailer, e alla fine i booktrailer sono sempre più divertenti dei libri (qua, qua e qua per vedere gli altri passati). Questo è accompagnato da una magnifica versione di Lumpy Gravy di Frank Zappa, interpretata da un musicista spagnolo chiamato Caballero Reynaldo. Tanto folle quanto irresistibile.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema pur essendo cosciente dell'inutilità.