Nessuna previsione ma solo due parole prima che inizi la notte degli Oscar 2024

Diciamoci la verità: quest’anno è proprio impossibile fare figure di merda. Voi pensate che stia parlando di me e delle mie consuete previsioni e invece io sto parlando dell’Academy. Quest’anno nessun sordo, nessun ciccione repellente, nessun cinese da risarcire moralmente; solo un paio di afroamericani, ma premiarli non sarebbe certo uno scandalo, perché sono grandissimi attori e lo meriterebbero. Sarebbe però singolare (e divertentissimo) che premiassero quegli stessi neri che in American Fiction satireggiano su questo scempio della cultura Woke travestita da pulizia etica, spennellata qua e là per far capire quanto siano consapevoli e progressiste le nuove generazioni di bianchi urbanizzati, sensibili ed engagé. Se un solo premio dovesse andare ad American Fiction, uno solo!, non sarebbe l’umile riconoscimento di un errore compiuto da sempre, quanto la dimostrazione che Hollywood è una specie di meccano a cui a ogni azione corrisponde una reazione volta a riequilibrarne i possibili effetti. Come dire: «Sei una testa di cazzo!»; «Lo so, faccio ammenda sul mio esserlo e ti do un premio per avermelo così gentilmente ricordato».

Io sto lì e attendo. Perché il bello degli Oscar è che veramente tutto è possibile, soprattutto quello che pensi non possa mai avvenire. Tipo che il film migliore sia scelto non perché il più bello, ma perché risponde a precisi requisiti di inclusione delle minoranze, come d’altronde s’inizierà a fare proprio quest’anno. Da regolamento.

Impossibile fare figure di merda, si diceva. Ma soltanto e unicamente perché quest’anno le candidature hanno davvero un senso e a parte Maestro, che è il tipico biopic dall’andamento vettoriale con interpretazione quanto-più-mimetica-possibile (ossia l’esatto contrario, quasi l’antitesi, di Oppenheimer), tutti gli altri sono davvero tra i film migliori e più rappresentativi dello scorso anno. Sia chiaro, il migliore è, appunto, Oppenheimer, perché Nolan, quando il concetto di tempo non gli prende eccessivamente la mano (come in Tenet), è l’autore che ha uno sguardo di più ampia articolazione rispetto al presente e al futuro. Killers of the Flower Moon sarebbe lo scappellamento dell’Academy alla storia del cinema (e al senso di colpa nei confronti dei nativi), Barbie il travestimento camp di un discorso quanto mai attuale (o di moda, come dicono le malelingue sempre all’erta), Povere creature! la concessione eversiva che farebbe a se stessa l’Academy rispetto a un discorso altrettanto attuale (con tanto sesso stilizzato, sai che scandalo?) e La zona d’interesse il tentativo di provare che a Hollywood non è vero che sono conservatori, ma sanno come apprezzare la visionarietà degli artisti più concettuali. Tutto lecito. Io guardo inoltre con simpatia sia ad American Fiction sia a The Holdovers, per i motivi che ho già spiegato qua sopra (qui e qui): non vinceranno, ma per la prima volta negli ultimi anni sono pronto ad accettare il verdetto con distacco serafico. Senza neanche una bestemmia al dio di tutti i cinefili della confessione pre-moderna. Orson Welles.

Che dire degli attori e delle attrici? Tutti i nominati nella categoria maschile hanno pari dignità. Cillian Murphy s’è sottoposto a una ferrea dieta per mescolare sul suo volto tirato la fierezza della ricerca e l’ombra del senso di colpa di Oppenheimer, Paul Giamatti incarna un colto gentiluomo di altri tempi, talmente di tempi altri da risultare avulso da tutto ciò che lo circonda (e lo evita) in The Holdovers, Jeffrey Wright mostra apertamente nelle sue espressioni tutto l’orgoglio del sentirsi minoranza svantaggiata (quella nera e socialmente integrata, non quella dei ghetti) in American Fiction, senza contare il mimetismo-di-cui-prima di Bradley Cooper in Maestro.

Niente da eccepire neanche sulla categoria femminile. La favorita è ovviamente il “fantoccio frankensteiniano che si trasforma in donna fin troppo consapevole della propria femminilità intesa come arma di seduzione in un mondo prettamente maschile che vive per annusare l’ipotetica preda restando vittima di una predatrice per autodifesa” interpretato da Emma Stone in Povere creature!, ma che bello sarebbe se vincesse la prima nativa americana mai nominata (e una delle pochissime ad avere mai avuto un ruolo da protagonista, diciamocelo), la Lily Gladstone di Killers of the Flower Moon. Questo sì che sarebbe un vero risarcimento verso i nativi, 51 anni dopo i fischi di disapprovazione che accompagnarono Sacheen Littlefeather, andata sul palco a rifiutare ufficialmente l’Oscar di Marlon Brando per Il padrino e a perorare la causa del suo popolo con un discorso di sensibilizzazione (rischiando tra l’altro le botte da John Wayne, che fu fermato dietro le quinte dalle maschere, e beccandosi la maligna ironia di Clint Eastwood, il quale omaggiò i cowboy uccisi nei film di John Ford prima di rivelare chi avesse vinto il miglior film ― piccola nota a margine: dal video ufficiale del canale degli Oscar su YouTube i fischi e i buuu all’indirizzo della povera Sacheen sono stati rimossi, sovrastati dagli applausi. Pensiero gentile o solita ipocrisia?).

Le immagini qua sopra sono, rispettivamente, di Hoyte Van Hoytema (Oppenheimer), Robbie Ryan (Povere creature!), Matthew Libatique (Maestro), Edward Lachman (El conde) e Rodrigo Prieto (Killers of the Flower Moon). Tutti più volte candidati ma mai vincenti (Prieto addirittura 4 volte). Tutti grandissimi direttori della fotografia, tutti creatori di immaginari ben definiti in cui lo sguardo spesso si smarrisce e «ove per poco il cor non si spaura», come avrebbe detto il Sommo (non quel Sommo, l’altro). Si tratta di una questione di gusti, ma c’è veramente qualcuno che, vedendo queste stesse immagini, potrebbe obiettare che uno qualunque di questi lo meriti meno degli altri quattro?

Infine, chi vincerà il miglior film straniero, la categoria a cui gli italiani tengono maggiormente perché è dove concorre Matteo Garrone con Io capitano, un po’ come quando agli Australian Open tutti, con parrucca arancione in testa, erano diventati tifosi di Sinner? Mmmmmmmm. Due considerazioni. Io capitano lo meriterebbe proprio perché non è un film come lo farebbero gli italiani, ma è come lo fa lui, Garrone, capace di adottare un punto di vista altro, estraneo, immerso nel dolore, nella necessità, nel senso della fine e nel miracolo della speranza. C’è qualcuno che fa del cinema con la stessa credibilità in Italia? Forse un altro paio di registi. Pensandoci bene tre, non di più (ma nessuno degli altri tre arriverebbe fino alla cinquina dei nominati, probabilmente neanche ad essere proposti come candidati dalla nazione, per cui inutile porsi il problema). Della Società della neve abbiamo già parlato qui, Perfect Days è il film dallo sguardo rigoroso che Wenders non faceva da più di trent’anni, La sala professori pare un filmetto innocuo e invece solleva problemi etici che fanno riflettere pur sembrando una versione seriosa della legge di Murphy. Secondo l’intelligenza artificiale vincerà La zona d’interesse. Forte ‘st’intelligenza artificiale, eh? Ti dice cose a cui non arriveresti mai e poi mai. Io che non sono artificiale e che non ho neanche l’intelligenza penso solo a una cosa: nel passato è già capitato che un lavoro concorresse come miglior film e anche come migliore film straniero. È successo a Parasite e a Niente di nuovo sul fronte occidentale. Entrambi vinsero l’Oscar come miglior film straniero; Parasite anche come migliore titolo in assoluto. Non è un pronostico, ché quelli, come sapete, non li prendo mai. È solo un pensare a voce alta.

Però.

L’unico pronostico che faccio e del quale sono pronto a scommettere anche ammennicoli a cui sono molto legato è l’Oscar alla carriera a Mel Brooks. Ci gioco quello che volete che glielo daranno. Oddio, Mel ha anche 98 anni, benché sia più in forma di me, ma questa è una previsione per la quale, forse per la prima volta, non temo smentita. Guardate e poi ditemi. E ci tengo particolarmente, quasi come i giornalisti di Sky alla vittoria di Garrone, perché in autunno uscirà un libro su un suo film che compie 50 anni. D’altronde il destino è quel che è, non c’è scampo più per me. Come dite? L’Oscar alla carriera gliel’hanno già dato durante la cerimonia dei Governors Awards dello scorso 10 gennaio? Appunto, visto? Ci ho azzeccato.

Finalmente.

Piccola postilla dopo la premiazione. Confrontate la portata qualitativa di Oppenheimer con quella di Coda – I segni del cuore ed Everything Everywhere All at Once dello scorso anno e capirete la mia indignazione al termine delle ultime edizioni. Finalmente si torna a premiare il “Miglior film”. E questo proprio nell’anno in cui entrano ufficialmente in vigore i nuovi standard di rappresentazione e inclusione. È Hollywood bellezza, ha una logica che è solo sua. Ma dopo aver surfato rovinosamente sulle onde del ridicolo, per quest’anno meglio così.
E alla fine American Fiction un Oscar l’ha vinto. Per la miglior sceneggiatura non originale, battendo anche Oppenheimer e La zona d’interesse: Hollywood ha fatto davvero ammenda del suo essere una testa di cazzo.

Pubblicato da giampiero frasca

Scrive di cinema pur essendo cosciente dell'inutilità.

2 Risposte a “Nessuna previsione ma solo due parole prima che inizi la notte degli Oscar 2024”

  1. Anche ex post l’articolo suscita riflessioni e curiosità, un po’ come gli Oscars non sai mai cosa aspettarti, in “solo due parole” una portata qualitativa molto alta…
    Per il libro che compie 50 anni, mhmmmmmm forse ho capito (non era un verso da ghiottone…)
    Grazie 🤩

    1. Il post scritto ex ante che diventa ex post. non male. e se è un ex post, si può ancora definire un post?
      tempi troppo rapidi. labirintici.
      😉

I commenti sono chiusi.